martedì 5 aprile 2016

DIALOGO CON UN FIGLIO QUASI ASTRONAUTA


L'immagine è tremolante, con colori improbabili. Talvolta composta da pochi pixel e ci vuole tutta la fantasia di due genitori in trepida attesa per riconoscere in quelle macchie che si muovono a scatti il volto di un figlio così' lontano da sembrare su un altro mondo. La voce poi a tratti assume risonanze metalliche, trema, si sente a scatti, si perde mentre improvvisamente l'immagine si blocca . Poi pochi secondi di fluidità e si ritorna daccapo. Ma ci accontentiamo . Tutte quelle persone che, quando si parla di figli lontani che cercano un futuro dall'altra parte del mondo ad un certo punto della conversazione esclamano , con tono consolatorio, "per fortuna che c'è Skype" molto spesso hanno in mente quelle conversazioni da fantascienza che si vedono nella pubblicità televisiva, chiare trasparenti, fluide. Non sanno come può' diventare comunicare quando tuo figlio si trova al centro dell'outback australiano, in un dormitorio dove arriva dalla abitazione principale del proprietario un debole segnale wifi da condividere con gli altri lavoranti . E' disteso, mio figlio , con il telefonino davanti agli occhi, a raccogliere e ritrasmettere l'immagine di un volto stanco e sereno ad un tempo . C'è poca luce, gli altri stanno dormendo, non bisogna disturbarli. E' questa l'ora delle conversazioni a casa, quando la dura giornata di lavoro australiano è terminata, finita la cena condivisa con gli altri ci si ritira nella propria branda perché domani ci si alza alle sei...e si apre il telefonino per vedere se c'è abbastanza segnale per una chiacchierata prima di dormire. Qui da noi è il primo pomeriggio di un sabato o di una domenica: conciliare gli orari non è semplice, quando noi dormiamo lui lavora, quando lui si alza io appena mi vado a coricare, quando lui potrebbe essere contattato durante la settimana io sono al lavoro, e poi il segnale wifi da lui non sempre c'è. ...cosi' quasi sempre si parla una volta la settimana . E' una conversazione quasi tutta a senso unico, da noi la vita è sempre uguale ma lui racconta....di chilometri percorsi ogni giorni in questa fattoria immensa , così' grande che il punto più' lontano dista cento chilometri e più di sterrato, di sabbia, di terreni accidentati. Racconta di mucche, di carcasse abbandonate nel terreno quasi desertico. Di canguri e di emu. Di rane e serpenti con cui condividere la doccia all'esterno del dormitorio, la sera. Di una recinzione da stendere per chilometri. Di ruote da cambiare ad enormi caterpillar, ruote grandi più' di un uomo. Di spazi immensi senza anima viva e di personaggi che arrivano in visita alla fattoria che qui si chiama Station, Eudamullah Station un nome che evoca un incrocio tra qualcosa di esotico ed il nulla, quasi fosse un avamposto sperduto nello spazio, e qui i viaggiatori arrivano con potenti fuoristrada o talvolta in elicottero. Trecento chilometri dalla città più vicina, dei quali i primi novanta su strada sterrata. Nulla può' essere considerato strano in questo mondo estremo tranne forse quello che da noi sarebbe considerato normale. Restiamo in silenzio mentre il suo viso si anima nella voglia di raccontare, anche quando le palpebre calano per la stanchezza , e questo viso incorniciato dal buio illuminato a sprazzi, questa voce metallica che va e viene fanno venire in mente i filmati delle precarie conversazioni tra i primi astronauti in orbita, ritrasmesse dalle tv in bianco e nero,. Un mondo alieno sul quale si apre una finestra effimera, che non riesca ad inquadrare i panorami immensi, i ciel senza nuvole, i colori stupefacenti dei tramonti e le stelle della notte non turbate da alcuna altra luce, in una notte così' nera che noi qui possiamo soltanto immaginare e nella quale si riesca ad intravedere il baluginare della Via Lattea .... guardiamo in questa finestra come spiando un mondo attraverso il buco della serratura ... e riusciamo vedere solo una cornice nella quale si muove l'ombra del narratore. Poi la conversazione rallenta, una mano sale a sfregare gli occhi stanchi, è ora di lasciarlo andare al suo sonno, e l'orologio ci dice che è già passata un ora ma a noi sembrano passato pochi minuti. Ci aspetta un altra settimana prima di aprire ancora questa finestrella dietro la quale, a quattordicimila chilometri di distanza (gli ultimi novanta tutto sterrato) c'è mio figlio che cerca di costruire il proprio futuro , ed intanto vive una grande incredibile avventura.
Buona notte